La Filosofia della Cura, di Luigina Mortari

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La Filosofia della Cura

Esistono cose essenziali per la vita umana. La cura rientra nell’ordine delle cose essenziali, perché per dare forma al nostro essere possibile dobbiamo aver cura di noi, degli altri e del mondo. Il nostro modo di stare con gli altri nel mondo è intimamente connesso con la cura che abbiamo ricevuto e con le azioni di cura che mettiamo in atto. Siamo quello che facciamo e quello di cui abbiamo cura. È irrinunciabile aver cura della vita, per conservarla nel tempo, per farla fiorire e per riparare le ferite dell’esserci. Poiché la vita umana è fragile e vulnerabile, il lavoro di cura è intensamente problematico; il primo compito di una filosofia impegnata a cercare la misura di senso dell’esperienza consiste dunque nel prendere in esame il fenomeno della cura al fine di comprenderlo nelle sue qualità essenziali. Si tratta di comporre, secondo il metodo fenomenologico, una teoria descrittiva della cura che possa costituire lo sfondo per disegnare una valida politica dell’esperienza.

Luigina Mortari è professore ordinario all’Università di Verona, dove dirige il Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia. Insegna Epistemologia della ricerca qualitativa alla Scuola di Medicina e Chirurgia della stessa università. Da tempo si occupa di teoria e pratica della cura, tema sul quale ha pubblicato studi di carattere sia teoretico sia empirico. Nelle nostre edizioni è uscito A scuola di libertà(2008).

La “Filosofia della cura” vista da Luigina Mortari, Ornella Crotti, La Gazzetta di Mantova 

la filosofia della cura

La riflessione che da tempo Luigina Mortari dedica al tema della cura, trova nel suo ultimo libro (Filosofia della cura, Raffaello Cortina 2015), un punto di snodo decisivo: in esso infatti, oltre a misurarsi con i grandi temi che l’Etica oggi si trova ad affrontare, non teme di rivolgere lo sguardo al “cuore etico” della pratica di cura.

La studiosa che è mantovana e dirige il Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’Università di Verona, ha già dedicato all’argomento importanti lavori con cui ha indagato i diversi mondi esperienziali delle relazioni di cura dove l’aver cura di sé, dell’altro e del mondo sono accostati da una filosofia che è attenta alla polisemanticità del termine.

E’ un pensiero il suo che si cerca, nella consapevolezza del dolore ontologico del nostro “stare all’aperto dell’essere” e nel suo incrociare la filosofia del ‘900, non rinuncia a confrontarsi con importanti pensatrici contemporanee e i classici greci.

Tenendo fermo che la cura è una pratica, cioè una forma d’azione e utilizzando la lezione husserliana, l’autrice muove alla ricerca del quid, dell'”essenza” della cura, servendosi di un’analisi fenomenologica del concreto che non può prescindere da ciò che è dato.

Il tentativo è quello di istituire un movimento circolare tra fenomenologia e filosofia dell’esperienza, nella consapevolezza che solo l'”accadere esperienziale del concreto” sia in grado di cogliere la qualità del reale e guardare all’essenza dell’Etica tenendo lo sguardo alla realtà.

Nell’articolazione tra vita del pensiero e vita degli affetti trova spazio un pensare l’altro che è un sentire l’altro, una ragione che non è identificabile col pensiero razionalizzante e strumentale, ma una ragione narrativa in grado di sentire l’altro e di accostarsi a lui con quel gesto, ha detto Levinas, di “responsabilità irrecusabile” che non può rifiutarsi alla domanda di cura.

Nell’esistere umano, immerso in relazioni asimmetriche, il lavoro di cura viene ad assumere uno statuto non solo etico ma anche politico: il mio interesse per l’altro è consapevolezza del nostro comune inter-esse e della qualità relazionale della condizione umana.

Avere rispetto significa questo: “tenere l’altro nella posizione dell’infinito” e comporta un concepire l’altro nella sua trascendenza, come portatore di un valore intrinseco.

la filosofia della cura
Emmanuel-Lèvinas

Nella loro vulnerabilità il neonato, il bambino in difficoltà, il bisognoso chiedono “modi di essere del rispetto”, in loro c’è un altro che è un ente portatore di sacralità pur nella sua alterità. Afferma Mortari: “La cura è partecipazione del sacro che c’è nell’altro”. Se l’eticità è un agire con gli altri nel mondo è anche un “sentire il sentire dell’altro”, come afferma Edith Stein, un accogliere e rispondere a quel bisogno di bene che non comporta il distogliere lo sguardo dal mondo ma un tenerlo in dialogo al servizio della nostra tensione ad esso. Il nostro esistere come esseri condizionati ci chiama al lavoro del vivere e la fragilità della condizione umana ci obbliga al “compito del proprio dover continuamente trascendere l’esserci che si è per un esserci ulteriore”. Si tratta non di opporsi ma di resistere al dolore ontologico nell’accettazione della nostra immanenza senza rinunciare al desiderio di trascendenza, come ci indica Maria Zambrano, un’accettazione che sola è in grado di coltivare un desiderio di bene che appare proprio nei gesti più semplici.

Cercare l’essenza del “cuore etico” della pratica di cura significa coltivare un’etica della relazione e accogliere che, grazie ad una “postura riflessivamente presente sull’accadere delle cose”, noi siamo in grado non di conoscere l’idea del bene che in sé è “come un’idea che va esaminata all’infinito”, ma di sentire la passione per il bene e la sua sovranità.

Prendersi cura degli altri fa bene a se stessi, intervista all’autrice di Avvenire

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La lezione di anatomia del dottor Tulp, Rembrandt

Fateci caso. Le persone capaci di importanti gesti di cura, quando spiegano i motivi del loro agire, forniscono risposte di rara semplicità: ho fatto quel che dovevo, chiunque avrebbe fatto lo stesso, non c’era altro da fare… Il che non significa che dietro l’azione non ci sia un pensiero: «Il pensiero c’è ma è radicalmente semplice. Nel senso che è essenziale: sa dov’è l’essenza delle cose». Questo pensiero è passione per il bene dell’altro, «con una forza etica che non viene prima della coscienza ma piuttosto è la voce di una coscienza che sa ciò che è irrinunciabile e da la lì orienta il suo essere».

Luigina Mortari dirige il dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell’università di Verona dove, presso la Scuola di Medicina e Chirurgia, insegna Epistemologia della ricerca; e chiarisce il concetto ricorrendo alla parabola del buon samaritano, che invece di tirare dritto come gli altri passati prima di lui, vide l’uomo per terra, lo guardò ed ebbe compassione: «Il buon samaritano ha visto un’ingiustizia, l’ha registrata e ha pensato di dover agire. La presa in carico dell’uomo ferito è stata preceduta da una valutazione razionale, per quanto fulminea, che informa e dirige l’azione. Perché la compassione non è un atto irrazionale ma è intriso di pensiero. C’è il pensiero alla base di ogni azione di cura. Per questo alla cura si può essere educati».

L’ultimo libro di Mortari si intitola Filosofia della cura (Raffaello Cortina, pp. 226, euro 19), una cura che lei definisce «fenomeno ontologico sostanziale all’esserci ». Tradotto: una vita buona non può tralasciare la premura verso il prossimo, la sollecitudine a favorire il benessere del-l’altro, l’impegno a far fiorire le sue possibilità. Come fa un buon insegnante, per esempio, con un gran dispendio di energie ma ottenendo in cambio una restituzione di senso che non ha uguale. E che lo fa sentire bene: ben-essere.

È questa l’essenza della cura: «Consiste nell’essere una pratica e accade in una relazione, è mossa dall’interessamento per l’altro, orientata a promuovere il suo ben-esserci; per questo si occupa di qualcosa di essenziale per l’altro». Mortari prosegue: «La cura è non è un sentimento o un’idea ma un atto, perché è qualcosa che si fa nel mondo in relazione con altri. E se – come sostiene Heidegger – gli esseri umani ‘sono ciò che vanno facendo’, allora si può dire che il modo di fare la cura rivela il modo di essere».

la filosofia della cura

Perché ben-agire e ben-essere sono coincidenti: «Ci sono azioni di cui sentiamo la necessità. Vedere la giustezza della cosa da fare ci decide a metterla in atto, a prescindere dal calcolo di cosa potrebbe derivarne. Si fa gratis perché qualcosa di buono accada, ricavandone un piacere etico: cioè il piacere che viene dal sapere di fare ciò che è essenziale fare». Mettendoci passione, come sempre si fa per le cose importanti: la passione è ciò che dà forza alla mente: «La cosa più importante è lavorare per il bene ma anche stare bene. Questa convinzione dà forza alla mia mente. Le idee inerti non portano a nulla, mentre quelle vive si nutrono di passione. Bisognerebbe stabilire un ordo amoris, un ordine dell’amore e delle sue priorità».

Ed è sempre l’agire del buon samaritano a rispondere alla domanda che Alcibiade pone a Socrate: in che cosa consiste l’aver cura in modo giusto?

«Socrate – prosegue Mortari – usa il termine orthos, che indica il punto di equilibrio perfetto. Azzardo anch’io una risposta, interpretando il giusto con l’equilibrio: l’occuparsi di sé e l’occuparsi dell’altro, fare da sé e delegare, sapere fino a che punto agire per l’altro o interpretare la cura come lasciare che l’altro agisca da sé».

Noi esseri umani siamo inevitabilmente soli ma lo siamo in mezzo a una moltitudine: quando un essere umano comincia a esistere, di fatto comincia a coesistere: «Essere consapevoli di avere bisogno di abbracci e di carezze, di una parola gentile e di uno sguardo benevolo non è sentimentaleria ma una cosa umanamente vitale. Sentirsi dentro una relazione di cura è una necessità ineludibile che ci accompagna per tutto il tempo della vita».

Ma cosa mette in moto questa relazione? «L’interesse per l’altro. Guardarlo sentendosi in connessione con lui, cogliere la sua situazione di necessità. Ma identificare i bisogni non è semplice. È facile individuare le necessità biologiche, però c’è anche molto altro». Bisogni relazionali, affettivi, spirituali cognitivi, estetici, politici… È oggettivo che ogni persona abbia bisogno di una giusta quantità di cibo. È soggettivo – un dato culturale – quale tipo di cibo è fondamentale garantire a ciascuno. «Il segreto è prestare attenzione, consentire all’altro di mostrarmi le sue esigenze, accogliere quello che dice di sé, interpretare le differenti necessità. Senza mai essere remissivi. Sbaglierebbe – prosegue Mortari – chi assecondasse una persona che esprime un bisogno non buono. Educare significa coltivare, noi stessi e la nostra anima, dare una forma migliore al nostro essere. Educare anche alla passione per sé».

la filosofia della cura
simone Weil

La cura è un atto culturale e non esiste vita senza cura. Eppure, nella pratica è continuamente svilita: i medici prescrivono terapie e gli infermieri le somministrano senza più prendersi il tempo di stabilire una relazione vera con il paziente, costretti dai tagli di bilancio a sacrificare l’empatia all’efficienza, a stare dentro i tempi dettati dal mercato del lavoro. La stessa cosa capita a scuola, dove si rincorrono programmi ed eccellenze trascurando la grandezza che ciascuno porta in dote e che dovrebbe essere stimolato a scoprire e mettere a frutto. «L’attenzione è un gesto cognitivo primario. E quando è appassionata, concentrata sull’altro – conclude Luigina Mortari – niente la può smuovere. Diventa anche un gesto etico. Tenere l’altro nel proprio sguardo è il primo gesto di cura».

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