Ormesi e omeopatia, gemelli diversi
In questo numero della BELLE Newsletter/HET, per la prima volta nell’arco di vent’anni, si affrontano le possibili correlazioni tra ormesi e omeopatia (Calabrese, 2010A; Calabrese, 2001; Harrison, 2001).
Le ragioni che spiegano la mancanza di una valutazione formale esterna e aperta da parte della letteratura sono complesse. Il motivo principale per cui si è evitato un argomento che rivestiva manifestamente una tale importanza, sotto il profilo storico e del dibattito scientifico in corso, è stato la volontà di molti leader della ricerca sull’ormesi di evitare che il concetto di ormesi venisse in qualche modo associato all’omeopatia (Calabrese, 2010B). C’è stata la volontà di “distanziare” questi due concetti, affinché se ne inferisse la distinzione tra ormesi e omeopatia, per quanto concerne le origini, le basi scientifiche, la valutazione e la convalida sperimentale e le applicazioni. In genere, gli studiosi che hanno sviluppato e ampliato il concetto di ormesi negli ultimi decenni hanno avuto un’educazione e una formazione di tipo scientifico tradizionale e sono stati a lungo inseriti nella cosiddetta scienza dominante, senza alcun legame con l’omeopatia. Alla luce di questa formazione e di queste esperienze, l’omeopatia veniva considerata una pratica medica fondata su una prospettiva filosofica anziché una scienza. Questo modo di vedere è stato corroborato dal fatto che nella pratica omeopatica si somministrano preparazioni medicinali in cui i presunti ingredienti attivi non sono verosimilmente più presenti, a causa delle diluizioni estreme a cui vengono intenzionalmente sottoposti in omeopatia (Calabrese, 2009).
Sebbene la questione non sia stata oggetto di considerazioni “formali”, fin dai primi passi della BELLE è sempre stato chiaro che era fondamentale che gli sforzi per studiare e approfondire l’ormesi si tenessero alla larga dalla prospettiva omeopatica: si riteneva che un’associazione con l’omeopatia avrebbe pregiudicato gravemente la ripresa dell’interesse scientifico per l’ormesi, e che il collegamento tra le due idee dovesse essere evitato ad ogni costo.
Di fatto, l’associazione storica tra i due concetti era considerata una sorta di “lettera scarlatta” sul “volto” dell’ormesi (Calabrese, 2001). Si trattava di un’associazione d’idee che andava attenuata, se non addirittura spezzata.
L’ormesi veniva vista come una scienza legittima e riconosciuta, poiché sperimentabile, convalidata, riproducibile, con fondamenta evoluzionistiche e basi meccanicistiche. L’omeopatia veniva invece vista come una pratica medica dai confini sfuocati, comprendente concetti filosofici e anche spirituali, il tutto miscelato con un cocktail bizzarro, ma non per questo convincente, di attività tecniche e scientifiche, alcune delle quali suscitavano semplicemente la perplessità, soprattutto tra i rappresentanti delle comunità mediche e scientifiche al di fuori del mondo omeopatico.
Poiché i professionisti sono molto attenti a tutelare la loro reputazione, era chiaro che nessuna delle personalità che gravitavano intorno alla BELLE voleva essere associata all’omeopatia, o essere considerata una sua simpatizzante. Al contempo, era frustrante riscontrare che c’era un flusso praticamente ininterrotto di pubblicazioni di orientamento omeopatico che istituiva un collegamento tra omeopatia e ormesi (Clement, 1997; Eskinazi, 1999; Satti, 2005; Mastrangelo, 2007), magari per cercare di avvantaggiarsi della crescente popolarità di questo fenomeno nella letteratura scientifica e nella comunità scientifica allargata. Nonostante questi sforzi da parte di alcuni dei rappresentanti dell’omeopatia, e nonostante le preoccupazioni dei leader nell’ambito della BELLE/dell’ormesi, che temevano che queste attività/pubblicazioni potessero compromettere la crescita e l’accettazione dell’ormesi all’interno della comunità scientifica, l’ormesi ha fatto notevoli progressi negli ultimi 15 anni, differenziandosi dall’omeopatia e facendo riconoscere le proprie credenziali nella scienza dominante, guadagnandosi un posto in alcuni importanti manuali di tossicologia (Klaassen e Watkins, 2003; Hayes, 2008), farmacologia (Hacker et al., 2009) e nelle scienze biomediche in senso lato (Le Bourg e Rattan, 2008; Mattson e Calabrese, 2010; Sanders, 2010).
Questo suo progresso si riflette anche nell’ampio numero di discipline scientifiche in cui l’ormesi ha evidenziato un notevole incremento delle citazioni nella letteratura. Per esempio, in tutto il decennio degli anni ‘80, le parole ormesi o ormetico risultavano citate circa 15 volte all’anno nel database Web of Science. Nel solo 2009, le citazioni erano quasi 2500, con un incremento superiore al 150%
Nonostante questo desiderio e questa necessità di distinguersi dall’omeopatia, la situazione è cambiata sensibilmente a causa di tre attività non correlate tra loro, ma che comunque si intersecano.